14 agosto 2009

Nella "camera chiara"....


Nelle prime pagine de "La Camera chiara" Roland Barthes definisce la fotografia come appartenente a "...quella classe di oggetti fatti di strati sottili di cui non è possibile separare i due foglietti senza distruggerli: il vetro e il paesaggio, e perchè no: il bene e il male, il desiderio e il suo oggetto...."
Più avanti scrive una nota su una foto scattata da Charles Clifford all'Alhambra di Granada nel 1854. Niente di monumentale, "Una vecchia casa, un portico in ombra, un tetto di tegole..." che se non fosse per quella "sbiadita decorazione araba" che si percepisce appena nella bifora e nell'ogiva dell'arco, potrebbe essere una vecchia casa di un borgo toscano o provenzale... Una fotografia antica che lo commuove "perchè, molto semplicemente, è là che vorrei vivere...io ho voglia di vivere là, in consonanza..."
Consonanza è un termine prettamente legato al mondo dei suoni, che qui, in un contesto che è invece incentrato sulle immagini, sul senso della vista, Barthes enfatizza con l'uso del corsivo, specificando poi che "tale consonanza non è mai soddisfatta dalla foto turistica".
Le fotografie di paesaggi, urbani o di campagna, devono essere "abitabili", suscitare in lui un "desiderio di abitazione", possedere una sonorità morbida e gradevole, che si diffonda da quegli "strati sottili" di cui sono fatte ad indicare che il varco è aperto alla realizzazione di un "desiderio di abitazione...fantasmatico" che "nasce da una sorta di veggenza che sembra portarmi avanti, verso un tempo utopico o riportarmi indietro, non so verso quale regione di me stesso: duplice movimento che Baudelaire ha cantato nell’ Invitation au voyage e nella Vie antérieure."
E' dunque una percezione estesa quella con cui Barthes coglie "l'essenza del paesaggio": ultra-grafia di luce e suono, premonizione e rammemorazione di "paesaggi prediletti" dove è come se fosse "sicuro di esserci già stato o di doverci andare".