27 febbraio 2008

Oltre la tana dell'armadillo


Anticamente gli Indios, non conoscendo la Terra, abitavano nel Cielo.
Un giorno, un cacciatore si imbatté in un armadillo e cominciò a inseguirlo. L’animale, fuggendo impaurito, riuscì a trovare rifugio nel profondo della sua tana, ma l’Indio non si perse d’animo e cominciò a scavare con decisione.
Scavò giorno e notte finché non riuscì ad agguantare l’armadillo, ma nel momento stesso in cui era quasi riuscito ad afferrarlo il fondo del cunicolo si aprì e solo per miracolo l’Indio riuscì ad aggrapparsi al ciglio della voragine che si era aperta sotto di lui.
Paralizzato dalla paura, dondolava nel vuoto, quando ai suoi occhi meravigliati apparve uno
spettacolo di indescrivibile bellezza: uno sconfinato arcobaleno, fatto di tante sfumature di
verde, di cui non si riusciva a vedere né l’inizio, né la fine. Riacquistate immediatamente le forze per effetto della sorpresa, corse subito a chiamare i compagni che lo seguirono incuriositi e che, come lui, restarono attoniti sul bordo della voragine ad osservare l’arcobaleno verde.
L’arcobaleno sprigionava un calore che arrivava a lambirli, e l’aria, che odorava di sconosciuti profumi, era attraversata dal canto di migliaia di uccelli e da farfalle dalle ali variopinte che volteggiavano tranquille posandosi, di tanto in tanto, su fiori dalle coloratissime corolle.
Guardando con più attenzione capirono che quello che sembrava un meraviglioso arcobaleno verde era in realtà la grande foresta. Fiumi chiari si alternavano a fiumi scuri e quando le loro acque si incontravano acquistavano sfumature di incomparabile bellezza. I pesci erano così numerosi quasi da non trovar posto in acqua, così che ogni tanto si vedevano saltare qua e là e gli alberi si piegavano al peso di abbondanti frutti, succosi e profumati.
Gli Indios, incantati davanti a tante meraviglie, sentirono forte il desiderio di raggiungere quel mondo prosperoso che li aspettava al di là della voragine, di lasciare la loro dimora, il Cielo: ma come fare ad oltrepassare la soglia? Come raggiungere la grande foresta che li aspettava sulla Terra?
Il Consiglio degli anziani si riunì e decise che unendo tra loro tutti i bracciali e le collane della tribù si sarebbe fatta una lunga fune robusta che avrebbe consentito a tutta la tribù di calarsi sulla Terra.
Piano, piano gli Indios cominciavano a scendere, uno dietro l’altro, aggrappati alla fune. Alcuni scendevano con foga, ansiosi di raggiungere la grande foresta, altri decidevano di restarsene in Cielo, alcuni titubavano…
Quando quasi tutti i guerrieri erano scesi, un bambino dispettoso che passava vicino alla fune la tagliò con un coltellino e nessuno potè più scendere sulla terra.
Fu così che alcuni Indios rimasero per sempre lassù e quando la sera accendono i loro fuochi vediamo le nostre notti brillare di miriadi di stelle…


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16 febbraio 2008

Gesti monumentali: Ise Jingu


All’interno del Santuario di Ise Jingu, in Giappone, i templi sono costruiti in legno di cipresso non trattato, né verniciato e assemblati senza l’utilizzo di chiodi o di altre legature di metallo. La loro sopravvivenza è garantita dalla ricostruzione che ogni 20 anni viene fatta dai sacerdoti scintoisti, depositari del sapere costruttivo che tramandano alle generazioni future insieme alla fisicità dell’edificio e alla tradizione spirituale: “I Giapponesi ritengono che all’interno di una forma architettonica giaccia nascosto, nonostante le trasformazioni intervenute, qualche cosa d’invisibile ereditato dal passato” (Ando Tadao, Le opere, gli scritti, la critica, a c.di F. Dal Co, Electa, Milano, 1994). Un sacerdote scintoista partecipa, nell’arco della sua vita a tre ricostruzioni: a 20 anni come solo osservatore, a 40 come costruttore, a 60 come esperto capo cantiere.
La rigenerazione degli edifici e di tutti gli oggetti in essi contenuti inizia con la cerimonia di purificazione degli operai prescelti, segue il taglio dei 13.200 alberi, che avviene con otto anni di anticipo, quello delle 25.000 fascine di miscanthus che serviranno alla copertura del tetto, quindi la stagionatura, la sagomatura e via,via, la posa dei pilastri, l’erezione delle pareti e, in fine, l’innalzamento della trave di colmo, la cerimonia più importante che coinvolge un enorme numero di sacerdoti.
Gesti e saperi monumentali, forse più di quanto lo siano i templi stessi…i movimenti di centinaia di corpi coordinati alla perfezione, le precise inclinazioni dei tagli, le corrette impugnature delle lame, la giusta forza da imprimere ad una spinta: far di se stessi un utensile, essere l’utensile di una volontà collettiva, che a sua volta è consapevole di essere l’utensile di una volontà superiore…

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14 febbraio 2008

Poscia corse vêr lui dirittamente/Disciogliendosi in lagrime; ed al collo/Ambe le braccia gli gettava intorno…(Odissea, XXIII)


LA TELA

Lavoro il filo
per la necessità di abitare il mio corpo
in un punto interiore
da cui tessere un ordine preciso:

espressione organica
poema camminabile
trappola per chi non sa leggere

l’origine e l’orizzonte del segno.

(A. Farabbi, da La tela di Penelope, Lietocolle 2003)


Penelope è la regina, un personaggio attivo e dinamico, nell'apparente immobilità, strategico per la sopravvivenza stessa e la corretta interpretazione del poema. Senza Penelope non c'è Odissea…E' lei stessa, a ben vedere, la tela, la trama, il punto di partenza e insieme di arrivo per Ulisse. Senza Penelope Ulisse sarebbe preda del suo stesso mito, chiudendosi in esso a mezz'aria come senza contatto con la realtà; e peraltro non avrebbe avuto alcun motivo logico per non concludere il suo viaggio molto prima da qualche altra parte e non a Itaca…
Il fulcro del poema non sta nel viaggio, ma nel ritorno, a Itaca.
E la ragione del ritorno non è il reame o le deluse famiglie dei compagni morti, ma solo Penelope, solo lei.

(dalla nota all’opera di G. Lucini)

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06 febbraio 2008

Storie


"Io penso che la storia ti piace, come piaceva a me quando avevo la tua età, perché riguarda gli uomini viventi e tutto ciò che riguarda gli uomini, quanti più uomini è possibile, tutti gli uomini del mondo in quanto si riuniscono tra loro in società e lavorano e lottano, non può non piacerti più di ogni altra cosa"

(Antonio Gramsci, Lettera al figlio Delio, Roma 1936)






Nella foto, dell'anno 1938, la scolaresca di mia nonna Ines e, settimo in basso da sinistra, un maschietto con il grembiule bianco da bambina pur di stare in classe con la mamma...

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04 febbraio 2008

Teofrasto, Caratteri, XVI, Il Superstizioso



"La superstizione è chiaramente una paura di fronte alla divinità e il superstizioso è uno che, quando incontra un funerale, si lava le mani, si spruzza con l'acqua lustrale, infila una foglia di alloro in bocca e gira con quella per tutto il giorno. Se una donnola gli attraversa la strada, non va più avanti finché qualcun altro non gli si sia passato avanti oppure fino a che egli non ha gettato tre sassi lungo la traccia, oltre la strada. Quando vede in casa una serpe e si tratta di un saettone invoca Sabazio; se è una serpe sacra, allora innalza subito sul posto un piccolo altare. Quando passa vicino alle pietre unte che sono nei crocicchi, ci versa sopra un po' d'olio da una fiaschetta, cade in ginocchio, bacia la pietra e solo dopo di ciò passa oltre. Se un topo ha rosicchiato il sacco della farina, va dall'indovino e gli chiede che cosa deve fare e se questo gli risponde di far rappezzare il sacco dal sellaio, non gli basta, ma torna a casa a fare un sacrificio. È solito purificare spesso la casa perché, dice, vi è stato un sortilegio di Ecate. Se quando egli passa, le civette si agitano e schiamazzano, dice «Atena trionfi» e solo dopo va avanti. Non ha il coraggio di avvicinarsi né ad una tomba né ad un cadavere né ad una puerpera, ma sostiene che gli preferisce non contaminarsi. Il quarto e il settimo giorno del mese ordina ai suoi di bollire vino e lui stesso esce a comperare coccole di mirto, incenso, focaccette sacre e poi entra in casa e inghirlanda le teste di Ermes; per tutto il resto del giorno è fuori di sé. Se per caso ha sognato, corre dall'interprete, l'indovino, l'aruspice, per chieder loro quale dio o quel dea debba pregare. Ogni mese va con sua moglie dagli Orfeotelesti per farsi iniziare e se la moglie non ha tempo, porta la balia e i bambini. E si direbbe essere uno di quelli che si purificano diligentemente spruzzandosi con l'acqua del mare. Quando, come capita, ad un crocevia vede uno di quelli con le corone d'aglio corre a casa, si lava da capo a piedi, chiama una sacerdotessa, e si fa purificare con la scilla o con un cagnolino.Quando vede un pazzo o un epilettico, rabbrividisce dalla paura e si sputa nelle pieghe della veste."

(Teofrasto, Caratteri)

Teofrasto, nato ad Ereso nel 371, filosofo e naturalista greco, discepolo di Aristotele, che dal 322 assunse per 25 anni la direzione del Liceo, nei "Caratteri” applicò il metodo empirico-descrittivo alla realtà etica e psicologica e con trenta schizzi morali rappresentò efficacemente ogni preciso tipo umano.

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