31 marzo 2008

Portinai fantastici


Il cane Cerbero

Se l'inferno è una casa, la casa di Ade, é naturale che un cane vi stia di guardia; anche è naturale, questo cane, immaginarselo atroce. La Teogonia di esiodo gli attribuisce cinquanta teste; per maggiore comodità delle arti plastiche questo numero è stato ridotto, e le tre teste di Cerbero sono di dominio pubblico. Virgilio menziona le sue tre gole; Ovidio, il suo triplice latrato ; Butler paragona le tre corone della tiara del Papa, che è portinaio del cielo, con le tre teste del cane che è portinaio dell'inferno (Hudibras, IV, 2).
Dante gli presta caratteri umani che aggravano la sua indole infernale: barba unta e atra, mani unghiate che squarciano, nella pioggia, le anime dei dannati. Morde, latra e mostra le zanne.
Cavare il Cerbero dall'Inferno, e recarlo alla luce del giorno, fu l'ultima delle fatiche di Ercole. Uno scrittore inglese del secolo XVIII, Zachary Grey, interpreta così l'avventura: "
Questo cane con tre teste rappresenta il passato, il presente e l'avvenire, che contengono, o come chi dicesse divorano, tutte le cose. Che Ercole lo vincesse, dimostra che le azioni eroiche sono vittoriose del Tempo e sussistono nella Memoria della Posterità".
Secondo i testi più antichi, il Cerbero saluta con la coda (che è una serpe) quelli che entrano nell' inferno, e divora quelli che cercano di uscirne. Una tradizione posteriore lo fa mordere quelli che arrivano; per placarlo, s'usava provvedere il morto di una focaccia al miele.
Nella mitologia scandinava un cane insanguinato, Garmr, sta a guardia della casa dei morti, e verrà a battaglia con gli dei quando i lupi infernali divoreranno la luna e il sole. Alcuni gli attribuiscono quattro occhi; quattro occhi hanno anche i cani di Yama, dio bramanico della morte..
Il bramanesimo e il buddhismo propongono inferni di caniche, a somiglianza del Cerbero dantesco, sono carnefici delle anime.

(J. L. Borges e M. Guerrero, Manuale di zoologia fantastica, Einaudi, 1998)

L' immagine è tratta dal meraviglioso sito:
http://borges.uiowa.edu/vakalo/zf/Default.htm


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21 marzo 2008

"Non c’è niente di meglio... che porre la questione della soglia"


Mi picchiettai le tempie con la punta delle dita come quando si sente una fitta o un dolore, spinsi indietro la testa e domandai, rivolto al prete: “S’incontrano delle soglie nella tradizione religiosa?”“In quanto cosa o immagine?”“Tutt’e due”.
Mentre il prete ci pensava su, gli altri si misero a dire quel che veniva loro in mente.
Il padrone di casa: “Il nostro gatto non passa mai una soglia senza fare attenzione. Tutte le volte si ferma e annusa per bene in terra. A volte evita persino di toccarla e salta. È solo quando scappa, mettiamo davanti a un cane, che non esita più davanti alla soglia: allora conta soltanto l’interno della casa. In cambio, però, è l’inseguitore che esita”. […]
Il pittore: “C’erano dei popoli antichi a tal punto nemici che l’uno, dopo aver sottomesso l’altro, riduceva in pezzetti le statue dei suoi templi per poi pavimentare le soglie delle proprie case. In certe civiltà si trovano disegni davanti alle soglie, a forma di labirinto; si dice che questi disegni dovevano meno respingere che far fermare e suggerire una deviazione…”. […]
Il prete si era intanto concentrato e disse: “Per quanto ne so, la soglia come cosa compare di rado nella tradizione. In un punto il profeta parla di uno scotimento che fece tremare persino la soglia di pietra. Come immagine, invece, si ripresenta frequentemente, anche se con un’altra parola. Negli indici analitici, accanto alla parola “soglia” si trova per lo più una freccia con l’indicazione: vedi porta. La soglia e la porta (o il portale) sono la parte per il tutto. Questo tutto, nell’Antico Testamento, è la città: talvolta semplicemente quella terrena – Piangi porta! Grida, città! – talaltra quella celeste: “Il Signore ama più le porte di Sion che tutte la tende di Giacobbe”; nel Nuovo Testamento talvolta c’è la dannazione – le porte dell’Inferno – talaltra la redenzione: “Io sono la porta. Chi entra per me, sarà salvo”. Di conseguenza, nella coscienza comune le soglie significano: passaggio da un ambito all’altro. E forse non siamo tanto consapevoli che la soglia è anche un ambito a sé, o meglio un luogo particolare, di prova o di protezione. […]. Per la scienza odierna, però, non esistono più soglie in questo senso. L’unica soglia che ancora ci resta, dice uno dei maestri del pensiero moderno, è quella tra la veglia e il sogno, e anch’essa è a malapena percepibile. […]. Soglia non significa affatto: confini – questi non farebbero che estendersi sia dall’esterno che dall’interno – ma zona. Nella parola “soglia” c’è mutamento, marea, guado, valico, recinto (inteso come rifugio). “La soglia è la sorgente”, secondo un detto ormai quasi scomparso. E quel maestro del pensiero dice testualmente: “Era dalle soglie che gli amanti e gli amici attingevano le loro forze. – Ma (prosegue) dove ritrovare al giorno d’oggi le soglie eliminate se non in se stessi? Veniamo guariti dalle nostre proprie ferite. Se dalle nuvole non nevica più, continuerà in me a nevicare”. Ogni passo, ogni sguardo, ogni gesto dovrebbe divenire cosciente di sé come una soglia possibile e ricreare in tal modo ciò che è perduto. […] - Le soglie come luoghi di forza non sembrerebbero dunque scomparse ma divenute, per così dire, portatili sotto forma di forze interiori. Coscienti di queste soglie, ciascuno lascerebbe l’altro morire almeno di morte naturale. La coscienza delle soglie sarebbe perciò la religione naturale. Altro non ci sarebbe da promettere”. […]
Ora, anche a quelli che ascoltavano tornò il ricordo delle cose da tanto tempo disperse nella memoria. L’uno riprese la parola dall’altro, sicché venne a crearsi un racconto a più voci. […]
“Le donne erano solite mettere una sedia sulla soglia e star lì a lavorare a maglia. Dalla soglia io contemplavo spesso i temporali e mi lasciavo sfiorare dalle gocce o da qualche chicco di grandine. […]. A Pasqua, con le grandi pulizie di casa, si lavavano per bene anche le soglie: fumavano di vapore caldo, si mostravano nel loro aspetto originario e sapevano di buono. A Pentecoste le soglie prendevano un’aria di festa, con gli alberelli di betulla ai lati. La soglia della stanza dei genitori mi sembrava particolarmente alta. […]. In caso di terremoto, dicevano in paese, non si doveva correr fuori, ma mettersi sulla soglia, sotto l’architrave della porta: là si era al sicuro. Anche “sradicare” per me rientra nella “soglia”; perché in casa il legno della soglia era quello che bisognava sostituire più spesso; ed era anche lì che il fungo del legname attecchiva per primo. Le soglie assumono la loro evidenza solo in campagna; in città le si dimentica. […]. “La soglia è il mio luogo”, pensavo restandoci sopra fermo. […]. Qual è il contrario di paura delle soglie? – Felicità d’indugiare ai margini”.
Ci si rivolse a colui che aveva tirato in ballo la questione, chiedendo se avesse voluto “testare” la compagnia. E la sua risposta fu: no, non testare, ma portare a raccontare. “Ho infatti notato che non c’è niente di meglio, per portare gli altri a raccontare, che porre la questione della soglia”.
(Peter Handke, Il cinese del dolore, pp. 77-83)

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16 marzo 2008

Le Donne della Passione


"Alle porte di Roma… c'è un paese, Giulianello, dove le donne cantano una passione del Venerdì santo che è uno dei pezzi di musica contadina più belli, preziosi e rari sia dal punto di vista musicale che da quello della completezza e particolarità del testo che io abbia mai ascoltato in Italia.
Siamo vicinissimi alla capitale eppure le donne cantano con abbellimenti in perfetta regola con lo stile del discanto e una nota bassa continua e incurante delle eventuali variazioni armoniche suggerite dalla melodia che è una cosa tipica delle prime forme di polifonia.
Il calore e il colore di queste voci è speciale, sono voci per tradizione impostate fra petto, gola e risonanze solo facciali, fanno venire in mente le voci delle mondine sono voci che difficilmente vanno molto in alto, ma che sulle note centrali hanno uno spessore e una capacità di micromodulazioni straordinarie.
C'è tutta un'estetica speciale che è subito evidente appena questa bravissime donne di Giulianello si mettono a cantare. E il loro repertorio va dal canto monodico a quello polifonico a stornelli di mietitura, canti narrativi, tutti di grande respiro e ampiezza di melodia: questo paesino che si direbbe sperduto tra centri più popolosi vive di un concentrato di coincidenze per cui la musica contadina rimane aggrappata alle mura delle case e sembra fortunatamente non volersene staccare". 
Così parla del canto Giovanna Marini, che lo ha studiato per circa trent'anni facendo varcare i confini italiani tanto che una copia delle sue registrazioni è contenuta a Parigi nel Centre Pompidou. Le Donne non si sono mai sentite un gruppo musicale: il Venerdì Santo o nelle occasioni di lavoro o di festa, quando vengono chiamate per registrare o per esibirsi in rassegne di canto, fanno un passaparola e poi "chi c'è c'è".
I loro ruoli sono intercambiabili: la più brava fa da solista, e la struttura del loro canto polivocale si compone di tre ruoli : "chi arza, chi 'bbassa e chi fa il coro".
Tratto dal sito:


Le donne della Passione
Dal 15-03-2008 al 24-03-2008 presso le piazze, comune di Artena, Bassiano, Giulianello (Cori), Segni, Priverno, Maenza, Roccagorga e Sezze Romano (LT)


10 marzo 2008

Nei palazzi della memoria


“…ed eccomi giungere alle distese e ai vasti palazzi della memoria, dove stanno i tesori delle innumerevoli immagini impresse dalla percezione di ogni sorta di cose. Ivi è riposto anche tutto ciò che pensiamo, ampliando o diminuendo o comunque modificando i dati colti dai sensi, e qualsiasi altra cosa vi sia stata affidata e accantonata e che l'oblio non abbia ancora inghiottito e sepolto. Qui giunto posso richiamare tutte le immagini che voglio: alcune si presentano immediatamente, altre si fanno desiderare più a lungo, come si dovessero cavar fuori da ripostigli più segreti, altre ancora irrompono in massa, e mentre chiedo e cerco altro, balzano in prima fila con l’aria di dire "Non siamo noi per caso?" E io le scaccio con la mano del cuore dal volto del mio ricordo, finché ciò che voglio non si snebbia ed esce bene in vista dal nascondiglio. Altre infine sopraggiungono docilmente e in bell'ordine come le chiamo, e le prime cedono il passo alle successive e nel farlo si ripongono pronte a riapparire quando vorrò…
(Nei palazzi della memoria)…si conservano, distinte per genere, tutte le cose che vi sono entrate, ciascuna per il suo ingresso: la luce e tutti i colori e le forme dei corpi attraverso gli occhi, dalle orecchie ogni tipo di suono e tutti gli odori per il varco delle narici e tutti i sapori per quello della bocca, e attraverso la sensibilità del corpo intero, le sensazioni di duro e di molle, oppure di caldo e di freddo, di liscio e di ruvido, di pesante o di leggero, sia internamente che esternamente al corpo stesso. Tutte queste cose la memoria le accoglie nel suo vasto speco e in certi suoi misteriosi e ineffabili meandri per richiamarle quando occorre e riutilizzarle: e ogni cosa penetra in essa per la sua porta particolare e vi è deposta…”

(Sant’Agostino, Confessioni, X, VIII, 12-13, Fondazione Lorenzo Valla)

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