17 marzo 2007

La soglia della superstizione.

"Non è raro il caso che una credenza, congeniale ad una determinata civiltà, venga ad assumere in una civiltà diversa il carattere di superstizione. Essa appare allora un errore religioso, un pregiudizio... Ma se queste superstizioni, questi pregiudizi, esistono, vivono e operano, suppongono un pensiero che ancora li accoglie”. (G. Cocchiara, "Il paese di cuccagna", Torino, Einaudi, 1957).
Gli autori antichi tramandano numerosi comportamenti scaramantici che si svolgevano in prossimità della soglia, citandoli a volte in tono deplorevole, altre invece, documentando con estrema naturalezza le loro stesse abitudini. La soglia non andava mai varcata con il piede sinistro (Silio Italico, VII 172, Petronio 30), ed era cattivo presagio inciamparvi (Cicerone, de div, 2,40,84; Tibullo, I 3, 19; Ovidio, Met. 10,452), le spose dovevano infatti ungere la soglia con grasso di maiale, (Servio, Aen, IV, 458; Isidoro, IX 7, 12), scrivere ARSEVERSE sulla soglia scongiurava il pericolo degli incendi (Afranio in Festo, p. 18 M), un gufo entrato accidentalmente in un casa veniva inchiodato sulla porta (Apuleio, L’asino d’oro), una barba di lupo appesa alla porta teneva lontane le fatture d’amore (Plinio il Vecchio, XXVIII 157, Orazio, sat. I 8, 42).
Molti anni dopo Mefistofele non riuscì a varcare la soglia dello studio di Faust, perchè non poteva superare il pentacolo inciso sulla soglia. Quello stesso simbolo che ancora oggi viene inciso sul legno dell’ architrave dei rifugi alpini, che accolgono anche bucrani di montone e mazzi di cardi spinosi, quasi una dimostrazione che i rimedi escogitati dal mondo antico siano ancora efficaci, ma che soprattutto le soglie moderne siano popolate, ora come allora, dalle stesse presenze.
Nei paesi della Valle dell’Aniene, a pochi chilometri da Roma, gli anziani ricordano che la notte del 24 dicembre si credeva che le streghe tentassero di entrare nelle case per fare del male ai bambini, che dormivano incustoditi, poiché gli adulti andavano alla messa di mezzanotte. Per evitare questo, si provvedeva a chiudere ogni accesso alle case, tappando con la stoppa i buchi delle serrature e incrociando due scope dietro l’uscio: si credeva infatti che, così facendo, si obbligasse la strega a contarne i fili se voleva passare. I contadini proteggevano le stalle con immagini di santi e con "cardozzi", cardi spinosi selvatici, al cui centro era collocato un corno dipinto di rosso. Tradizioni che sopravvivono nell’ uso delle piccole scope decorate vendute come gadget natalizi, o dei corni portafortuna, hanno quindi radici storiche molto antiche: le strigae che Carna scacciava con il ramo di spina alba, tornano nella notte in cui nasce Gesù Cristo, Bambino per eccellenza, e fuggono davanti alla spine dei cardi ed al pericolo di attardarsi a contare i fili di saggina della scopa (Deverra) appoggiata dietro la porta.

08 marzo 2007

La civettina

“La civettina che quella notte emise il suo grido d’amore non poteva sapere che il grido irresistibile con cui diceva a tutto il creato “Son qui! Son qui!” suonava sinistro all’orecchio del contadino che dormiva nella capanna lì sotto, a poca distanza dall’albero su cui si era appollaiata. La grandine caduta in abbondanza il giorno prima aveva distrutto gran parte delle viti in germoglio, il tempo non prometteva nulla di buono, era sempre incerto e ora quel grido chiamava altri disastri. Il contadino si affacciò alla finestra, vide la gran massa scura dell’albero di noce che si stagliava davanti alla casa, come se non fosse già abbastanza grama la vita che faceva, come se non fosse stata già abbastanza feroce la grandine del giorno prima. L’usanza antica di fermare il malocchio il contadino la conosceva, e dalla notte dei tempi gli arrivò il comando che lui puntualmente eseguì. Prese il fucile a pallini appeso al muro, e così come si trovava, in mutande, scese a piedi nudi e senza far rumore sul prato, e si nascose dietro la siepe dove più fitta era la tenebra. Nel silenzio della notte stette con l’orecchio teso, puntato come quello di un animale del bosco, per individuare il punto esatto da cui proveniva il grido della civetta. E lei di nuovo ripeté all’universo gremito di stelle il richiamo d’amore che non poteva trattenere “Son qui! Son qui!”… Ah, sei lì? Uno sparo lampeggiò nel buio e la civettina cadde ferita a un’ala.
Per un contadino che obbedisce a un richiamo ancestrale, per un misero contadino abituato a fronteggiare le brutali forze del male e i suoi oscuri messaggi con le sole armi che la barbara scienza degli avi gli ha fornito, non è crudeltà ma è solo un rito scaramantico inchiodare viva una civetta sulla porta di casa. E dunque senza esitare, tranquillamente batté e ribatté i chiodi che la fissarono ad ali aperte sul legno. La civettina nello spasimo piegò il capo da un lato, gridò e si dibatté tremando in ogni penna per l’atroce dolore che l’attraversava, finché le spesse palpebre così simili a quelle umane calarono sui grandi occhi lucenti che si spegnevano lentamente nell’agonia. Il contadino guardò soddisfatto l’opera compiuta, e rassicurato se ne tornò a dormire nel suo letto. Ora la grandine avrebbe risparmiato il suo campo, e la civetta che prima col suo grido lo minacciava, si sarebbe man mano essiccata sulla porta di casa e lo avrebbe protetto dai mali del mondo.” (La civettina, in Opere di Raffaele La Capria , Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2003)